Lo abbiamo ripetuto più volte: se è vero che le ragioni del conflitto tra israeliani e palestinesi pendono in misura sostanziale dalla parte di Israele, è altrettanto vero che lo Stato di Tel Aviv ha commesso errori significativi nella gestione del conflitto.
Il più grave è stato sottovalutare l'importanza della guerra mediatica, che si è affiancata a quella militare. Mentre i successi dell’esercito israeliano sul campo sono evidenti e difficilmente contestabili, la battaglia sul piano dell’immagine è stata chiaramente persa. L’ondata di intolleranza e antisemitismo che si sta diffondendo in tutto il mondo, anche in Italia, ne è la dimostrazione più tangibile.
Israele ha proiettato un’immagine dura, persino spietata, e questo ha progressivamente eroso il sostegno da parte di molte opinioni pubbliche occidentali. Qui di seguito ti proponiamo un’interessante analisi firmata da un militare molto seguito su Twitter, che affronta proprio questo tema.
L'ERRORE DI ISRAELE
IL CONTESTO
IL CONTENUTO ORIGINALE
Di: @kommander61
Va bene. Proviamoci.
Il progetto dell'operazione militare israeliana a Gaza è partito male. È noto, infatti, che i comandi militari avrebbero voluto un intervento più mirato e meno spettacolare. E questo, non per motivi etici, ma perché più efficace e puntuale. I tempi, però
Sarebbero stati molto più lunghi e l'effetto mediatico meno eclatante. Molti, tra cui il sottoscritto, hanno da subito sostenuto questa posizione sui social e ovunque fosse necessario, puntando soprattutto sul fatto che fosse indispensabile diffondere a livello planetario la
mostruosità dell'azione terroristica e le sue conseguenza per la sicurezza dell'intero occidente. Questo approccio, lungi da essere influenzato da considerazioni etiche, puntava a quello che è l'obiettivo di ogni militare: vittoria in efficacia con perdite contenute nel proprio
personale e nelle vittime collaterali.
Questo, a maggior ragione, nel quadro logistico che vedeva i terroristi asserragliati in un invidiabile posizionamento tra cunicoli e insediamenti civili densamente popolati con la distribuzione di preziosi ostaggi in luoghi muniti e difesi.
La politica, invece, visto che non obbedisce a criteri oggettivi, ma alle viscere degli elettori, ha voluto altro. Un'azione emotiva, spettacolare, anticipata nei tempi e nei modi, senza tentare di mitigare la persistente ostilità nei confronti di Israele che è dato del problema.
E questo, probabilmente, è stato l'errore strategico più grande. Immagini e dati del massacro del 7 ottobre sono uscite troppo tardi, quando hamas si era già impadronita della scena mediatica e iniziato a pompare numeri e statistiche senza nessuna verifica e controllo, trovando
terreno fertile in quella vasta fascia di opinione pubblica che vede l'antisionismo come una forma socialmente riconosciuta e accettata di razzismo.
Comunque, una delle leggi fondamentali della guerra è che, se pure prendi una decisione sbagliata, non puoi lasciarla a metà.
Quindi, se si è presa questa strada per cercare di eradicare hamas, bisognava andare fino alla fine, anche se questo poteva comportare perdite negli ostaggi detenuti dai terroristi. La questione palestinese non sarà mai risolta solo militarmente. Serve un'azione sistemica di
sostituzione che eradichi le cosche terroriste che campano di guerra e stabilisca una cultura della vita in luogo di quella della morte. Il che ci porta a un problema di ordine pubblico e di benessere della popolazione che richiede tempo, perdono e grande speranza nel futuro.
Ora, visto che la rete criminale dei terroristi di hamas è ancora operativa e che il danno strategico e di immagine si è già consumato, dal punto di vista militare è imperativo condurre operazioni che portino fino in fondo l'eliminazione dell'organizzazione terroristica.
E questo non solo militarmente, ma anche e soprattutto interrompendo le catene di valore sulle quali si basa il benessere e l'autorità sociale dei suoi componenti. Entrare a far parte di hamas è un affare. Garantisce reddito, rispetto e potere. Questa percezione va abbattuta.
Il razionale dell'intervento sui viveri e sulla dislocazione dei civili va, probabilmente, in questa direzione, così come l'occupazione sine die della striscia. Questa, però, non è la soluzione, ma dovrebbe rappresentare l'inizio di un percorso che favorisca benessere e sviluppo.
Se l'operazione si limita alla componente militare e di ordine pubblico, è già fallita, prima ancora di iniziare.
Per questo, questa evoluzione della vicenda era inevitabile conseguenza delle premesse perché l'alternativa sarebbe stata una capitolazione morale di Israele.
Indipendentemente da ciò, rimangono responsabilità politiche e militari che dovranno essere regolate di fronte alla legge e al giudizio degli elettori. Il 7 ottobre è stata una tragedia per Israele e il modo con cui la politica l'ha affrontata è stato sbagliato strategicamente.
Spero che Israele sappia affrontare queste responsabilità con saggezza e lungimiranza. Nel frattempo rimane immutato il sostegno, anche operativo, nella guerra contro il terrorismo che non è un problema solo degli ebrei, ma di tutto l'occidente. O, almeno, di ciò che ne resta.