La scena è diventata virale in poche ore: in un locale di Napoli, una famiglia di turisti israeliani è stata cacciata in quanto tale, solo per la propria identità. Non si tratta di una provocazione politica, non c'entra la geopolitica, non c'entra neanche la guerra in corso: è antisemitismo puro. E, come sempre accade in questi casi, la rete si è divisa. Da una parte l’indignazione per un gesto razzista e discriminatorio, dall’altra una narrazione tossica che ha tentato di giustificarlo come atto di resistenza, confondendo deliberatamente la legittima critica alle politiche di uno Stato con l’odio verso un popolo.
Ma la questione non è politica, è storica. È civile. È giuridica.
Ogni volta che leggiamo delle grandi tragedie del Novecento, dimentichiamo troppo facilmente che tutto è cominciato così: con episodi di esclusione, di odio sdoganato, di silenzi colpevoli. È accaduto allora, e può accadere di nuovo. Per questo è fondamentale chiamare le cose con il loro nome. E reagire.
Non con recensioni negative o post indignati, ma con gli strumenti che la legge ci offre. Perché la vera domanda è una sola: è legale, in Italia, discriminare qualcuno sulla base della sua identità religiosa o nazionale? E se non lo è, cosa si può fare per impedirlo?
TAVERNA SANTA CHIARA
IL CONTESTO
IL CONTENUTO ORIGINALE
Di: @RobertoFal96523
Va bene... forse è il caso di fare chiarezza, anche a costo di scadere nella pedanteria.
Cotale Nives Monda, che, nella sua qualità di titolare della "Taverna Santa Chiara", ha cacciato i turisti israeliani dal suo locale a causa della loro nazionalità, ha compiuto un atto di 1/
di "discriminazione diretta", che trova il suo fondamento nell'art. 3 Cost. ed è sanzionato dall'art. 604-bis, 2° comma, c.p. che punisce con la reclusione fino a 3 anni chi nega l'accesso a beni, servizi o attività per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali /2
(nel caso di specie, l'esercente che ha cacciato dal suo locale i turisti israeliani a motivo della loro nazionalità).
Attenzione a un importante dettaglio: il reato di cui al 2° comma è perseguibile a querela di parte, il che significa che solo i turisti, vittime della /3
discriminazione diretta, "potrebbero" essere facultati alla denuncia; tuttavia, siccome il fatto è accaduto in un "contesto pubblico" - ciò che ha leso la dignità degli israeliani, amplificandone l'impatto discriminatorio - il reato diventa perseguibile d’ufficio! /4
La S.C. di Cassazione è intervenuta più volte sull'argomento (si vedano "ex plurimis" le sentenze della Sez. III Pen. 19 luglio 2019, n.32862; e 15 gennaio 2020, n.1602), ribadendo che l'art. 604-bis c.p. trova applicazione in tutte le situazioni in cui gli atti discriminatori /5
motivati da ragioni razziali, religiose, etniche o nazionali si badano sulla semplice "qualità personale" della vittima (per es., la religione o la nazionalità), senza necessità che la vittima abbia compiuto un comportamento specifico che giustifichi i suddetti atti. /6
Inoltre il video, ormai virale, che riprende l'increscioso episodio e i post che la ristoratrice ha pubblicato sui social (Facebook) e che sono diventati anch'essi virali, potrebbero aggravare la sua posizione anziché alleggerirla.
In effetti, la pubblicazione di post con cui /7
la Sig.ra Monda invita altri esercenti a seguire il suo esempio, potrebbe essere considerata una forma di propaganda o di incitamento alla discriminazione ai sensi dell'art. 604-bis, 1° comma, lett. a), c.p., che resta sempre perseguibile d'ufficio, in quanto il contenuto del /8
post - se riconosciuto idoneo a promuovere atti discriminatori - è suscettibile di giustificare o incoraggiare il compimento di atteggiamenti simili.
La gravità - di maggiore rilevanza rispetto al 2° comma della menzionata norma penale - risiede nel fatto che siffatti messaggi /9
sono accessibili a un'ampia platea di utenti, configurandosi come potenziali azioni di pubblica diffusione di idee discriminatorie.
In proposito, la Corte di Cassazione (Sez. III Pen, sent. 23 febbraio 2022, n.6459) ha confermato anche la rilevanza penale dei semplici "like" /10
sulle piattaforme social - in determinati contesti di discriminazione o incitamento all'odio - dal momento che il "gradimento" è indicativo di un'azione che non solo esprime un'approvazione personale ma contribuisce attivamente alla diffusione, all'avallo e all'amplificazione /11
di messaggi discriminatori, data la natura pubblica delle piattaforme.
Pertanto, la Sig.ra Nives Monda rischia la denuncia per discriminazione ex art. 604-bis c.p., con possibili conseguenze che includono pene detentive o pecuniarie, a seconda della gravità del fatto o delle /12
e delle circostanze.
Senza contare che oltre alle sanzioni edittali, potrebbero essere irrogate pene accessorie quali il risarcimento danni alle vittime, se queste si costituissero parte civile, alla città di Napoli per danno d'immagine e, in aggiunta, la chiusura temporanea /13
del locale e ulteriori ripercussioni, come boicottaggi o azioni civili per risarcimento danni da parte di associazioni o enti che tutelano i diritti umani.
Prima di minacciare querele a destra e a manca, la ristoratrice pensi alla notifica di un probabile avviso di garanzia. /14